Forum Conftrasporto-Confcommercio: nel 2024 il traffico merci segnerà +3% sul 2019
Il presidente di Conftrasporto Pasquale Russo ha evidenziato la necessità di investire nelle infrastrutture
Nel trasporto passeggeri continuerà a prevalere il traffico su gomma: nel 2024 si attesterebbe sopra l’81%, nel 2019 pesava per l’83,8%. L’aereo peserà per l’11,5%, la ferrovia, per il 6,4%.
Per le merci, il peso del trasporto su strada si attesterà al 51,1% nel 2024, in crescita rispetto al 2019 (49,5%), essenzialmente per un ripiegamento del trasporto marittimo, la cui quota si prevede scendere al 45,3%, a fronte del 47,1% del 2019. Sostanzialmente stabile la quota del trasporto ferroviario: 3,5% nel 2024, contro 3,3% nel 2019.
È quanto emerge dall’Osservatorio sui Trasporti dell’Ufficio Studi Confcommercio – presentato all’8° Forum Conftrasporto-Confcommercio, organizzato a Roma oggi e domani – assieme a uno studio sulle infrastrutture realizzato da Svimez per Conftrasporto.
Secondo l’Osservatorio, sul fronte dei passeggeri solo l’aereo recupererà nel 2024, sui livelli pre-pandemici, registrando con un +11,3% rispetto al 2019, grazie all’impulso del turismo e del ritorno ai viaggi. Anche il mare nel 2024 recupererà quasi del tutto. Resteranno indietro ferro e, soprattutto, strada. Lo smart working e la riduzione dei viaggi a corto raggio si fanno sentire: l’indice dei passeggeri-chilometri su strada, fatto 100 il 2019, si collocherebbe a 83,5 nell’anno in corso, per salire a 87,2 nel prossimo anno.
Discorso diverso per le merci, dove tutte le modalità registreranno nel 2024 traffici superiori al 2019, al netto del mare che risentendo, ancora, del rallentamento dei traffici mondiali che seguono il PIL e il commercio su base planetaria, si attesterà su valori di poco inferiori.
Nel complesso, il traffico merci nel 2024 segnerà +3% sul 2019, in linea con la variazione cumulata del prodotto lordo. Il che dice tutto sul rapporto simbiotico tra crescita economica e movimentazione di merci.
Buone notizie arrivano dalla demografia d’impresa: crescono le società di capitali, come nell’autotrasporto merci. I “padroncini” rimangono importanti, ma meno piccoli e più efficienti di una volta. Mentre le imprese attive nel settore si riducono, nel complesso, di oltre 9mila unità tra il 2018 e la prima parte del 2023, le società di capitali nell’autotrasporto crescono di 4mila unità, passando, in quota sul totale imprese di autotrasporto, dal 22% al 30,2%.
Un recupero, quello in atto nel mondo dei trasporti, che potrebbe preludere a una crescita del nostro Paese in termini di competitività, ma che rischia di infrangersi contro carenze e ritardi ormai insostenibili sul piano delle infrastrutture, come dimostrano i dati di Conftrasporto attraverso lo studio realizzato da Svimez.
“I dati presentati oggi evidenziano come sia urgente investire in infrastrutture, e mettono in luce il divario tra Sud, con un difetto strutturale di connessioni, e il Nord Italia, con un alto indice di saturazione, soprattutto in relazione ai valichi – dichiara il presidente di Conftrasporto Pasquale Russo – La situazione che emerge, ancora una volta, dimostra come sia stato sbagliato, nelle scelte compiute in passato, non aver finanziato le infrastrutture fisiche stradali. Per quanto riguarda il Pnrr, è positivo, necessario, aver previsto fondi significativi per la ferrovia , ma la mobilità delle merci e del Paese deve utilizzare il sistema infrastrutturale in maniera integrata: è controproducente aver lasciato autostrade e aeroporti fuori dalla programmazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
Il 48% del Pnrr va infatti alla rete ferrovia, il 23,6% all’alta velocità, il 5,6% al progetto integrato dei porti, e solo lo 0,5% alla digitalizzazione della logistica. “Auspico si torni a investire per colmare il gap infrastrutturale al Sud, anche ad esempio attraverso la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Ben poco è previsto inoltre sul piano della digitalizzazione, fondamentale leva per la sburocratizzazione e la velocizzazione degli scambi”, aggiunge Russo.
Lo studio Svimez per Conftrasporto
Nel confronto europeo, l’Italia presenta un buon posizionamento in termini di competitività infrastrutturale attestandosi al 7° posto della graduatoria europea (Commissione Europea, 2022). Emergono, tuttavia, profonde disparità territoriali: solamente Lombardia, Piemonte, Lazio, Liguria e Campania superano la media europea, tutte le altre si collocano al di sotto.
In dinamica, nel periodo 2019-2022 solamente Lombardia, Piemonte e Campania migliorano il loro posizionamento relativo, scalando la classifica di 38, 7 e 4 posizioni. Piemonte e Lombardia presentano un buon indice di accessibilità stradale (100% e 96% quota di popolazione raggiungibile entro 1h30 su strada in un raggio di 120 km contro una media europea del 77%).
La Campania si distingue per una buona dotazione ferroviaria (8,8% la quota di popolazione raggiungibile entro 1h30 su ferrovia in un raggio di 120 km contro il 5,8% della media europea); bene Lazio e Lombardia che concentrano il traffico aereo passeggeri e cargo (numero di voli giornalieri intorno a 1000).
Criticità infrastrutturali italiane
Grande ritardo per quanto riguarda la rete ferroviaria del Sud: solo 181 km di rete ferroviaria ad alta velocità (12,3% del totale) esclusivamente in Campania; gap enorme per elettrificazione della rete: 58,2% al Sud (come nel 2021, Sardegna unicamente a trazione diesel), 80% al Centro-Nord; bassa quota del doppio binario (31,7% contro il 53,4% al Centro-Nord). La dotazione di infrastrutture stradali del Sud è molto inferiore per estensione della rete autostradale (1,87 km per 100 km2 contro 3,29 al Nord e 2,23 al Centro): in Sardegna nessun km di autostrada, marginali in Basilicata.
La lontananza dai mercati motiva gli investimenti in infrastrutture al sud. Nelle regioni meridionali, si registrano maggiori difficoltà di reperimento degli input con ripercussioni negative sul processo produttivo. Per le imprese del Sud i fornitori sono più lontani: le distanze medie per gli acquisti delle imprese è pari a 264,3 km contro il 122,7 del Centro, i 105 del Nord-Ovest e i 94,4 del Nord-Est.
La logistica del futuro aumenta la pressione sulle infrastrutture. I due possibili scenari futuri sull’evoluzione del commercio internazionale (globalizzazione vs regionalizzazione) hanno come denominatore comune la tendenza a un’ulteriore saturazione dei valichi alpini (Monte Bianco, Frejus, Brennero, Gottardo), e rendono urgente l’apertura di nuove direttici (Terzo valico, Galleria ferroviaria di base Fortezza – Innsbruck, seconde canne Monte Bianco e Frejus) e gli shift modali (ferrovia, cabotaggio, cargo aereo).
Fondi pubblici per le infrastrutture di trasporto prioritarie: costi per 131 miliardi, coperture pubbliche per 101.
Quasi il 75% delle risorse sono destinate alle infrastrutture ferroviarie (il 6% alle infrastrutture portuali e l’1% al potenziamento degli aeroporti). Al Sud molte opere sono ancora in progettazione (56% contro il 36% del Centro-Nord), mentre i cantieri aperti sono pochi (13% contro il 34% del Centro-Nord).
Il ruolo strategico del PNRR
Il Piano stanzia 51,1 mld (33,6 Next Generation e 17,7 del Piano Nazionale Complementare). Circa 25 mld sono destinati al potenziamento della rete ferroviaria del Mezzogiorno (es. AV SA-RC con 9,5 mld). È essenziale disinnescare i fattori di stress per la realizzazione delle opere che emergono dalle recenti analisi di monitoraggio: rincari materie prime, difficile reperibilità materiali, squilibri domanda/offerta, difficoltà procedurali.
I fondi Next Generation UE porterebbero la quota modale di trasporto ferroviario dal 10% (delle statistiche ufficiali) al 16,5% (l’autotrasporto scenderebbe al 47,7 dal 54,5%); ricomposizioni insufficienti a conseguire lo shift modale necessario al raggiungimento degli obiettivi del 2030. A tal fine, bisogna favorire lo shift strada-mare: trasferire 15 mlt dalla strada al cabotaggio (lungo le dorsali marittime tirrenica e adriatica), la cui quota modale aumenterebbe del 35%.
Ponte sullo stretto: “lotto” della direttrice Palermo-Berlino
L’impatto macro-economico della realizzazione del Ponte si aggira intorno ai 14,6 mld di valore aggiunto e 256mila addetti in 7 anni. Un’opera la cui strategicità dipende dalla sua integrazione all’interno del completamento del collegamento di Sicilia e Calabria alla rete dell’alta velocità. Da considerare, tuttavia, le criticità geologiche e ambientali.
- La funzione abilitante della Zes unica
Utile a rafforzare il presidio centrale delle politiche per attrare gli investimenti al Sud attraverso fiscalità di vantaggio e semplificazione amministrativa e a superare le frammentazioni territoriali. Occorre però affiancare ad esso, interventi specifici volti a rafforzare le priorità produttive e le specializzazioni strategiche, valorizzando legami funzionali e strategici con le infrastrutture, come i porti collegati alla rete TEN-T. Non disperdere l’esperienza delle ZES ma integrarla in una strategia nazionale attraverso l’identificazione nel Piano Strategico ZES unica di una linea di interventi volti a cogliere le opportunità per l’intero Paese della logistica e dell’economia del Mare in un contesto di nuova centralità mediterranea.
- Il ruolo delle politiche
Migliorare la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno e promuovere un percorso di sviluppo industriale lungo le nuove direttrici strategiche: green e digitale; sostenere grandi opere di collegamento coerentemente a un progetto infrastrutturale sistemico per tutto il Paese (collegamenti interni e attenzione alle aree marginali); ridurre la pressione sulle infrastrutture del Nord (specialmente sui valichi); sfruttare il potenziale del «mare» come soluzione complementare allo shift gomma-ferro e quale settore economico di traino per l’economia del Mezzogiorno.