Autotrasporto: Anita, misure “Cura Italia” non sufficienti, serve terapia d’urto
Anita lancia l’allarme: la mancanza di liquidità e l’esplosione dei costi di trasporto, causate dalle misure di contenimento del COVID-19, fanno lavorare in perdita le imprese dell’autotrasporto merci e logistica, spingendole verso la drammatica scelta di chiudere le proprie attività.
“Le nostre aziende specializzate nel trasporto di alimentari freschi, oltre al forte calo del fatturato, subiscono enormi costi per lo sbilanciamento dei flussi di traffico, i percorsi a vuoto, i lunghi tempi di attesa presso gli stabilimenti aziendali e le frontiere – fa sapere Umberto Torello, Presidente di ANITA-Transfrigoroute Italia -. Non possiamo continuare a fornire servizi di trasporto per garantire l’approvvigionamento dei prodotti alimentari in assenza di un adeguato sostegno economico e finanziario da parte dello Stato”.
Secondo gli associati di Anita, le misure contenute nel Decreto “Cura Italia” non sono sufficienti perché si limitano a spostare i termini di pagamento di oneri e tributi per lo Stato: “I contributi in conto gestione per le imprese sono irrisori. Lo slittamento delle scadenze dei prestiti rateali e mutui non è previsto per le grandi imprese”.
“Per mantenere in vita il settore abbiamo bisogno di interventi più massicci. Ci vuole una terapia d’urto che dia liquidità alle aziende, permettendogli per i prossimi anni di risparmiare sui costi al fine di bilanciare le ingenti perdite accumulate in questi mesi – fa presente Thomas Baumgartner, Presidente di ANITA -. Chiediamo al Governo di aumentare adeguatamente il Fondo del Ministero dei Trasporti, previsto per le imprese iscritte all’Albo, per garantire lo sconto massimo dei pedaggi autostradali già accordato, contestualmente all’esonero totale del pagamento per i mesi di aprile e maggio. Chiediamo il temporaneo esonero dalle accise sul gasolio. Necessari anche la decontribuzione degli oneri sociali, da imputare a carico dello Stato e interventi sui costi dei traghetti per garantire la continuità territoriale per le isole”.
La filiera logistica impiega 1,5 milioni persone e in tempi normali produce il 9% del PIL italiano. La chiusura di tante aziende, oltre ad avere effetti catastrofici sull’occupazione, metterebbe a repentaglio l’approvvigionamento dei beni di prima necessità e comprometterebbe la ripresa economica una volta finita la fase emergenziale.