Prestazioni
Ma nel caso dei veicoli industriali, è sbagliato focalizzarsi solamente su tale aspetto. Ve ne sono altri due, altrettanto importanti: il rendimento e la coppia massima. Considerati insieme, i valori relativi a questi tre parametri ci mostrano come il veicolo si comporta sul lavoro ed a quale prezzo, in termini di consumi di carburante.
Il rendimento del motore è una caratteristica che dipende molto dalla tipologia del propulsore stesso e che viene espressa in percentuale. Esso mostra una sorta di “bilancio” energetico, indicando il rapporto tra l’energia prodotta dalla combustione e quella meccanica effettivamente trasmessa alla catena cinematica. Il rapporto ideale sarebbe del 100%, ossia tutta l’energia prodotta può essere utilizzata per il moto. In realtà non è così, perché una gran parte dell’energia creata nella camera di combustione viene dispersa sotto forma di calore (che deve essere smaltito dall’impianto di raffreddamento). Inoltre, c’è un’ulteriore perdita di energia meccanica lungo la catena cinematica (sempre sotto forma di calore) dovuta ad attriti vari. Il rendimento attuale dei motori diesel è di circa il 45%, contro il 35% di quelli a ciclo Otto.
In concreto, il rendimento ci dice quanto consumiamo per ottenere una determinata potenza. A parità di consumi, ha un rendimento superiore il motore che eroga al banco una potenza maggiore.
La potenza esprime, dal punto di vista fisico, un lavoro svolto in una determinata unità di tempo. In termini concreti, nel campo degli autoveicoli esprime la capacità di accelerare e di raggiungere una determinata velocità massima (ma non bisogna dimenticare che tali caratteristiche dipendono anche da altri fattori) e perciò la potenza è diventata il principale indicatore delle prestazioni. Essa dipende essenzialmente dal regime di rotazione del motore e si calcola moltiplicando quest’ultimo per la coppia motrice.
L’unità di misura tradizionale della potenza nel settore motoristico è il “cavallo vapore” (CV), ma oggi le norme internazionali prescrivono di utilizzare una dimensione fisica più appropriata, ossia il chilowatt (kW). Un chilowatt corrisponde a 1,3596 cavalli.
Quando si valuta la potenza di un motore comunicata dal suo costruttore, non bisogna dimenticare che essa è calcolata al banco di prova, ossia sganciata dalla catena cinematica e, a volte, anche da componenti come la ventola di raffreddamento o le pompe dei circuiti idraulici. Ciò significa che la potenza realmente disponibile per l’autoveicolo è inferiore a questo valore teorico. A tale proposito, ricordiamo che esistono diversi sistemi di rilevamento della potenza di un motore. In Europa si utilizzano le normative comunitarie CEE o quelle tedesche DIN, mentre negli Stati Uniti si usano quelle SAE.
La definizione tecnica di coppia motrice è piuttosto astratta, eppure questa grandezza è molto importante per valutare le prestazioni di un motore. Essa può essere definita come il “momento” (o grandezza) che serve a far ruotare un albero, operando una forza (espressa in Newton) ad una determinata distanza dall’albero stesso (espressa in metri). Nel motore, la forza viene prodotta dalla combustione ed è trasferita alla scatola del cambio attraverso il pistone ed i manovellismi.
In termini meno tecnici, ma più facilmente comprensibili, la coppia motrice ci dice quanto il motore è in grado di “spingere” l’autoveicolo, in termini di “spunto”, e quanto esso è “elastico”. Ogni motore esprime la sua coppia massima all’interno di un determinato intervallo di giri (che nei motori moderni è piuttosto ampio). Sapere a quale regime si raggiunge la coppia massima è molto importante nella guida, perché consente all’autista di scegliere le marce giuste per mantenere il numero di giri più basso possibile, risparmiando così carburante. A parità di coppia massima, il motore migliore è quello che raggiunge tale valore al regime inferiore.
La coppia si esprime in due unità di misura: il chilogrammetro (kgm) ed il Newton/metro (Nm), correlate secondo la formula 1 kgm=9,81 Nm. Tradizionalmente, si utilizza la prima, ma anche in questo caso (com’è avvenuto con la potenza) le norme internazionali hanno cambiato le abitudini, imponendo la seconda espressione.