Consegne più lente e costose, forniture interrotte: com’è cambiata la supply chain italiana dopo il Covid?
Dalla pandemia, alle tensioni commerciali USA-Cina; dalla mancanza di diversi materiali e componenti, fino alla guerra in Ucraina. Il problema del funzionamento delle supply chain ha assunto sempre maggiore rilevanza per le aziende di tutto il mondo a causa dei diversi shock che si sono succeduti negli ultimi anni: elementi che sono andati a sommarsi alle implicazioni della transizione energetica già in corso.
Turbolenze che si sono tradotte nell’incremento della volatilità per le supply chain di quasi tutti i settori, destinata a rimanere tale per un tempo difficile da prevedere.
Analizza aspetti come la continuità dei flussi di materiali, le conseguenze dell’inflazione e le implicazioni degli obiettivi di sostenibilità, la nuova edizione della survey “Le supply chain nell’era della volatilità” realizzata dalla società di consulenza Boston Consulting Group (BCG), che traccia un quadro delle criticità – ma anche delle opportunità – che il complesso scenario attuale sta comportando per le catene di approvvigionamento.
Aumento dei costi e allungamento delle tempistiche pesano sulla ripresa
Dalla survey emerge chiaramente la ripresa post-pandemica, con una tendenza al rimbalzo del fatturato che ha interessato quasi la metà delle aziende campione, mentre le imprese che hanno visto ridurre il fatturato sono passate dal 60% del 2021 al 25% del 2022.
Nonostante questo trend positivo, problemi sulla performance delle supply chain inbound (dai fornitori agli stabilimenti o ai magazzini) sono continuati e si sono anzi aggravati, con il 95% delle aziende che lamenta un aumento dei tempi di fornitura e il 92% che ha visto peggiorare l’affidabilità delle consegne dei fornitori.
Allo stesso tempo è continuata ad aumentare l’incidenza dei costi logistici sul fatturato, che ha colpito il 78% delle imprese. Inoltre l’incremento dei costi dei materiali sul valore totale della produzione è stato avvertito dal 69% delle aziende.
Continua la tendenza all’aumento delle scorte (registrata dal 50% delle imprese contro un 18% che le ha viste diminuire), che non ha impedito la trasmissione degli shock lungo la catena del valore fino a impattare il servizio erogato ai clienti: tempi di evasione troppo lunghi per il 75% di esse e peggioramento dell’affidabilità del servizio per il 58%.
Garantire continuità e flessibilità delle forniture
Di fronte a questo panorama profondamente cambiato le aziende hanno messo in campo delle reazioni forti e articolate, intervenendo su più fronti, a cominciare dalla riconfigurazione del parco fornitori. Il 75% delle imprese ha incrementato il numero di fornitori in portafoglio, il 38% ha eliminato quelli meno performanti e il 46% ha optato per il re-shoring di alcune forniture.
Numerosi anche gli interventi per garantire continuità e sulla flessibilità delle forniture, in particolare anticipando la prenotazione della capacità produttiva (80% degli intervistati) o incrementando le scorte dei materiali acquistati (54%).
La maggiore volatilità ha inoltre messo a dura prova i processi di pianificazione inducendo le aziende a rivederli in modo sistematico: il 54% ha aumentato la frequenza di revisione dei piani mentre il 42% ha affinato la loro granularità; il 37% ha introdotto nuovi processi di forecasting a fronte di un 17% che ha abbandonato quelli esistenti perché poco affidabili.
Di fronte a un contesto caratterizzato da una maggiore volatilità dei prezzi delle materie prime e dell’energia, le imprese hanno messo in campo un’ampia gamma di soluzioni: la maggior parte ha dichiarato di aver ridotto i consumi energetici grazie all’uso della tecnologia (41,7%), altre hanno trasferito le variazioni dei costi sui prezzi praticati ai clienti (37,5%).
L’impatto della supply chain sugli obiettivi di sostenibilità
Dalla survey emerge come la supply chain sia un ambito importante per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità delle aziende, per esempio in tema di riduzione delle emissioni di CO2. La sensibilità su questo indicatore è diffusissima, con l’83% delle aziende che si è dato obiettivi specifici di riduzione del proprio impatto ambientale entro il 2030 e il 63% che ha fissato degli obiettivi al 2050.
L’88% delle aziende intervistate ha intrapreso un ampio ventaglio di azioni concrete per ridurre l’impatto della supply chain sull’ambiente: le più diffuse hanno riguardato l’ottimizzazione del packaging e la collaborazione con i fornitori per ridurre le emissioni di CO2 e gli altri aspetti del footprint ambientale.
Per raggiungere questi obiettivi – spiega in conclusione il documento – le aziende, in gradi diversi, si trovano di fronte alla necessità di cambiare pelle, lavorando su 3 leve fondamentali:
• Un nuovo impianto di governance delle decisioni in materia supply chain che rifletta adeguatamente la loro natura sempre più strategica.
• Un maggiore uso di strumenti digitali a supporto delle decisioni e della configurazione dinamica delle supply chain.
• Un’evoluzione delle competenze focalizzata non solo sulla digitalizzazione ma anche sulla gestione del rischio e sul governo degli impatti ambientali della supply chain.
“Dall’analisi – spiega Paolo Saccomano, partner e associate director di BCG, autore del report – è emerso che le aziende si stanno muovendo a diverse velocità per rendere le loro supply chain più resilienti e sostenibili. Per riuscirci devono però investire nell’aggiornamento delle loro competenze e fare un uso intelligente di soluzioni digitali per rendere i loro processi decisionali più efficaci e più agili”.