Intermodalità ferroviaria: ecco le misure del Freight Leaders Council per rilanciare la logistica
Abbattere le strozzature del sistema logistico italiano ingegnerizzando il processo intermodale attraverso maggiori investimenti da parte delle aziende, del gestore dell’infrastruttura e da parte dello Stato. Gli incentivi sono utili, ma non sufficienti: il trasporto intermodale ferroviario è l’unica modalità in declino (-0,8%, dati Confetra) nel primo semestre 2018 nonostante l’avvio del Ferrobonus. Il cambio di passo per attuare realmente lo switch dalla gomma al ferro, evidenziato anche nel contratto di Governo, passa attraverso diverse azioni tese ad annullare le molte anomalie che l’Italia della logistica intermodale continua a portarsi dietro nei confronti dei competitors europei e che frenano sia la domanda che l’offerta. In primis, il doppio macchinista, una misura tecnicamente non più giustificata, superata altrove, che in Italia gonfia i costi degli operatori intermodali. Occorre velocizzare il piano di adeguamento della rete e dei terminal per la circolazione di treni più lunghi e pesanti: in Europa lo standard tecnico è 750 metri e 2000 tonnellate, mentre in Italia i treni raggiungono a mala pena i 600 metri e le 1600 tonnellate. Inoltre, non sono più rimandabili i potenziamenti dei raccordi portuali e interportuali: oggi la maggior parte dei traffici nei porti viaggiano su gomma. Occorre anche procedere nell’attuazione completa della riforma portuale con l’attivazione dello sportello unico, dare impulso alla digitalizzazione dei processi, dei documenti e delle connessioni tra operatori della supply chain. Prevedere misure in grado di elevare l’appeal della rotaia per il mondo dell’autotrasporto come per esempio la riduzione del bollo ai Tir che fanno combinato e l’introduzione di speciali deroghe nel calendario dei divieti per la circolazione dei mezzi pesanti. Insomma, un patto per l’intermodalità tra strada e rotaia nel segno della maggiore sostenibilità (sia economica che ambientale) del sistema dei trasporti nel nostro Paese.
È quanto emerge dal Quaderno 27 “Intermodalità ferroviaria, un’occasione per crescere”presentato oggi dal Freight Leaders Council nell’ambito di un convegno organizzato a Roma presso la sede del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti alla presenza del Viceministro Edoardo Rixi. Il documento, coordinato dall’associazione che raggruppa i maggiori operatori logistici guidata da Antonio Malvestio, nasce dal lavoro congiunto con Anita, Confcommercio, Direzione generale per il Trasporto stradale e l’intermodalità del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Fercargo, Mercitalia, RFI Terminali Italia, Università̀ di Roma Tor Vergata con il contributo del prof. Pierluigi Coppola e UIR.
“L’intermodalità ferroviaria è morta più̀ di una volta – ha dichiarato il presidente del Freight Leaders Council, Antonio Malvestio– Ora che, grazie ad aiuti e ad azioni ad hoc, sta lentamente risorgendo, si deve tener conto dell’innovazione e dell’ingegnerizzazione dei processi. E notiamo che ci vuol poco a regredire come appena successo. Non servono rivoluzioni: basterebbe accelerare su progetti come quello dell’alta velocità delle merci, dare certezza agli imprenditori sul piano degli incentivi e della realizzazione delle infrastrutture necessarie a sbloccare i colli di bottiglia evidenziati nel nostro Quaderno.”
Lo split modale in Italia resta tra i più bassi in Europa. Secondo Eurostat nel nostro Paese solo il 13% delle merci viaggia su rotaia (un dato ritenuto gonfiato dagli operatori del settore), mente la media europea supera il 18% con la Germania al 19,3%. Il Libro Bianco della Commissione europea prevede entro il 2030 il trasferimento del 30% del trasporto stradale alla rotaia sulle percorrenze superiori ai 300 chilometri. Un obiettivo ancora molto lontano per l’Italia soprattutto per le carenze di tipo normativo, organizzativo e infrastrutturale. Inoltre, persiste ancora una scarsa attenzione alle problematiche ambientali connesse al trasporto stradale delle merci: non si considerano a sufficienza, infatti, la CO2 prodotta dai motori, le polveri sottili emesse e l’inquinamento acustico.