Porto commerciale di Molfetta: usavano rifiuti speciali per costruire la diga. Nove indagati e 2 arresti
La Guardia di Finanza scopre l’utilizzo di 40mila tonnellate di materiali non conformi per la realizzazione del molo di sopraflutto.
I reati contestati sono un lungo e pesante elenco: Frode nelle pubbliche forniture, truffa, gestione illecita di rifiuti ed infine responsabilità dell’ente per illecito amministrativo dipendente da reato.
Così sono scattati gli arresti domiciliari del direttore operativo dell’ufficio della direzione dei lavori e di un dirigente dell’Ente locale responsabile del procedimento, per i quali è stata disposta anche la sospensione dall’esercizio di pubblici uffici e servizi unitamente al divieto temporaneo di esercitare l’attività professionale per il tempo massimo consentito dalla legge.
Inoltre è stato disposto il sequestro, funzionale alla confisca, del profitto dei reati contestati per due società (fornitrice e subappaltatrice del materiale lapideo) e del rappresentane legale di una di esse, quantificato, complessivamente in euro 250 mila, eseguito su beni e disponibilità finanziarie. Inoltre, il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto il sequestro impeditivo delle aziende e delle quote societarie delle due società per circa 10 milioni di euro. Iscritte, nel registro degli indagati, complessivamente, nove persone fisiche (tra le quali, oltre i destinatari dell’ordinanza, il direttore dei lavori, il direttore del cantiere ed il capocantiere) e le due società.
Una indagine complessa che ha portato la Guardia di Finanza della Compagnia di Molfetta, su delega della Procura della Repubblica di Trani, con l’ausilio di personale del I Gruppo Bari edel Reparto Operativo Aeronavale di Bari, ad eseguire nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani, l’ordinanza di misure cautelari, personali e reali, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Trani.
Il meccanismo della frode
L’inchiesta ha messo in luce un collaudato sistema di frode nell’ambito dell’opera di completamento del molo di sopraflutto. Si trattava di costruire una “diga a gettata per proteggere il bacino portuale”, che, secondo il capitolato d’appalto, doveva essere realizzata con la posa di più strati in blocchi, naturali o artificiali. I materiali richiesti dovevano essere chimicamente inalterabili e meccanicamente resistenti, compatti e con un elevato peso specifico, ed era prevista la fornitura e posa in opera di circa 106 tonnellate di materiale da cava, dei quali circa il 60% costituito da “tout venant” necessario per la costruzione del nucleo e il restante 40% da massi in scogliera.
Ma anziché fornire il materiale previsto è stato utilizzato anche attraverso l’ausilio di documenti di trasporto falsi, materiale riveniente da scavi eseguiti su terreni privati, materiale vegetale nonché materiale di dubbia provenienza, incluso materiale qualificato come rifiuto speciale. Il materiale illecitamente impiegato sarebbe pari a circa 40 mila tonnellate.
Le indagini
Numerosi gli elementi probatori (anche video) acquisiti che hanno finora consentito di ritenere le operazioni di carico dei materiali non conformi sui camion e il loro conferimento all’interno del cantiere del nuovo porto. Le intercettazioni telefoniche hanno poi documentato il conferimento di “terra”, materiale non conforme al capitolato: in alcuni casi è stato mischiato materiale roccioso con “terra”, in altri, addirittura, è stata fornita solo “terra”…” come si legge nell’ordinanza cautelare e decreto di sequestro disposti dal GIP, il quale ancora scrive “…sin dalle prime conversazioni intercettate, emerge che oltre al tout – venant (il materiale conforme al capitolato) viene trasportato qualcosa di diverso …” e in ultimo osserva che “…le forniture in eccesso di materiale non conforme, ormai note a tutti gli indagati, provocavano lamentele…” a tal punto, che gli indagati in riferimento all’eccesso di materiale roccioso evidenziavano il colore rosso dello specchio d’acqua limitrofo ai lavori.
All’arrivo dei finanzieri il tentativo degli indagati di liberarsi delle prove documentali. Ma sono stati colti in flagrante. L’indagine era infatti iniziata nell’ottobre 2021, attraverso l’esecuzione di appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, l’installazione di numerose telecamere e l’analisi della copiosa documentazione acquisita, acquisita presso il cantiere nel febbraio 2022.